Il  tribunale  civile  di  Roma sezione prima, riunito in camera di
 consiglio, ha emesso la seguente  ordinanza  nella  causa  civile  di
 primo  grado,  iscritta  al  12437  del ruolo generale per gli affari
 contenziosi  dell'anno  1986  posta  in   deliberazione   all'udienza
 collegiale   dal  20  gennaio  1992  e  vertente  tra  Falde  Nicola,
 elettivamente domiciliato in Roma, via G.B. De Rossi,  20/cz,  presso
 lo   studio   del  procuratore  avv.  Domenico  De  Marsico,  che  lo
 rappresenta  e  diffende  per  delega  attore   e   Raimondo   Ricci,
 elettivamente  domiciliato  in Roma, via Ovidio, 32, presso lo studio
 del procuratore avv. Marco Nuzzo che unitamente agli avvocati  Adolfo
 Di  Majo  e  Nicolo'  Lipari  lo  rappresenta e difende per procura a
 margine della  comparsa  di  risposta,  convenuto,  nonche'  Marsilio
 Editori   S.p.a.,  elettivamente  domiciliata  in  Roma,  via  G.  D.
 Romagnosi, 1/b, presso lo studio del procuratore avv. Caro Capriolo e
 Sergio Smedile che la rappresenta e difendono per procura  a  margine
 della  comparsa  di  risposta,  convenuta, e il comune di Venezia, in
 persona del sindaco pro-tempore, elettivamente domiciliato  in  Roma,
 via  Barnaba  Tortolini,  34,  presso  lo studio del procuratore avv.
 Nicolo'  Paoletti  che  unitamente  all'avv.  Alberto   Predieri   lo
 rappresenta  e  diffende  per  procura  a  margine  della comparsa di
 risposta, chiamato in causa, avente ad oggetto: risarcimento danni.
    Il tribunale letti gli atti;
                           OSSERVA IN FATTO
    Con atto di citazione notificato il 28 aprile  1986  Nicola  Falde
 esponeva  che  nel  libro  intitolato  "I poteri occulti dello Stato"
 edito dalla Marsilio Editori S.p.a. era  riportato  uno  scritto  del
 sen.  Raimondo  Ricci  nel quale si faceva riferimento ad una pretesa
 sua partecipazione ad attivita' politico-eversiva,  poste  in  essere
 dalla  loggia  massonica  P2, che si sarebbe estrinsecata da un lato,
 nell'ambito del c.d. "progetto per  la  stampa",  nella  sua  nomina,
 decisa  dai vertici della loggia, a direttore del settimanale O.P. di
 Mino Pecorelli, dall'altro nella costituzione insieme  ad  altri  del
 Nuovo  Partito  Popolare nell'intento di creare un nuovo schieramento
 cattolico che ovviasse alle insufficenze delle Democrazia  Cristiana;
 rappresentato che tali riferimenti costituivano "illeciti diffamatori
 e   calunniosi"   integrati   reati   penali   ma   azionabili  anche
 autonomamente  in  sede  civile,  alla   luce   dell'ormai   costante
 orientamento  della  s.c.  seguito  alla sentenza 23 ottobre 1984, n.
 5259; lamentato che a seguito della  pubblicazione  del  libro  aveva
 subito  gravi  danni  anche patrimoniali in relazione alla perdita di
 varie occassioni di lavoro,  conveniva  in  giudizio  l'autore  dello
 scritto e la predetta casa editrice per sentirli condannare in solido
 al risarcimento in suo favore del predetto danno.
    Si costituiva in giudizio il sen. Raimondo Ricci il quale, oltre a
 chiedere  nel merito il rigetto della domanda in quanto completamente
 infondata, rappresentava in limine che il contenuto dello scritto  in
 questione  riproduceva  fedelemente  in  relazione  da lui svolta nel
 convegno tenutosi in Venezia ed organizzato dal comune  della  citta'
 lagunare  nel 1983 proprio sul tema riprodotto come titolo del libro;
 poiche' a tale convegno egli era stato inviato nella sua qualita'  di
 parlamentare  e  specificamente  di vice-presidente della Commissione
 Parlamentare d'inchiesta sulla loggia massonica P2  ed  il  contenuto
 della  sua  relazione  riproduceva  gli  atti e i documenti acquisiti
 dalla  predetta  Commissione  d'inchiesta  ne  derivava,  secondo  il
 convenuto,  che  le opinioni espresse in tale sede dovevano ritenersi
 coperte dalla insindacabilita' parlamentare di cui all'art. 68, primo
 comma, della Costituzione; di  qui  l'eccezione  di  improponibilita'
 della domanda introdotta nei suoi confronti.
    Si  costituiva in giudizio anche la societa' editrice per chiedere
 in principalita' il rigetto della domanda ed in subordine la chiamata
 in causa del comune di Venezia, in quanto comunque tenuto, in ipotesi
 di accoglimento  della  domanda  attrice,  a  tenerla  indenne  dalle
 pretese risarcitorie avanzate nei suoi confronti.
    Autorizzata  la  chiamata,  si  costituiva in giudizio il predetto
 comune per chiedere a sua volta il rigetto  della  domanda  formulata
 nei suoi confronti.
    All'udienza dell'8 maggio 1987 il convenuto Ricci depositava copia
 della  delibera  del Senato della Repubblica con la quale l'assemblea
 recepiva e confermava la decisione  della  giunta  per  le  immunita'
 parlamentari   del   16   aprile   1987,   la  quale  aveva  statuito
 all'unanimita' che i  fatti  per  i  quali  era  stata  esperita  nei
 confronti  del  sen.  Ricci  l'azione  civile  oggetto  del  presente
 giudizio ricadevano nella prerogativa della insindacabilita'  sancita
 dall'art. 68, primo comma, della Costituzione.
    All'udienza del 22 giugno 1990, precisate le conclusioni, la causa
 veniva  rimessa al collegio e da quest'ultimo trattenuta in decisione
 del 20 gennaio 1992.
    Tanto premesso il tribunale.
                           RILEVA IN DIRITTO
    1. - Va preliminarmente esaminata la rilevanza della delibera  del
 Senato  della  Repubblica di cui in narrativa ai fini della decisione
 del presente giudizio.
    Si  osserva  al riguardo che la Corte costituzionale, pronunciando
 su un conflitto di attribuzione sollevato dalla corte di  appello  di
 Roma in analoga fattispecie, con decisione 29 dicembre 1988, n. 1150,
 ha   affermato   che  l'art.  68,  primo  comma,  della  Costituzione
 attribuisce alla camera di appartenenza  il  potere  di  valutare  la
 condotta  addebitata  a  un  proprio  membro, con effetto, qualora la
 stessa sia qualificata come ricompresa nell'esercizio delle  funzioni
 parlamentari,  di  inibire,  in ordine ad essa, una diforme pronuncia
 giudiziale di responsabilita'.
    Facendo applicazione di  tale  principio  al  caso  di  specie  ne
 discenderebbe  che,  poiche'  la  delibera  sopra  indicata  riguarda
 espressamente  il  presente  giudizio,   questo   tribunale   sarebbe
 senz'altro   tenuto   a  statuire  l'improponibilita'  della  domanda
 introdotta nei confronti del senatore Ricci.
    Senonche'  la  Corte,  nella   medesima   decisione,   considerata
 l'estrema   delicatezza   della  materia  -  la  nostra  Costituzione
 riconosce  tra  i  diritti  inviolabili  quello  all'onore  ed   alla
 reputazione   -,  ha  contemporaneamente  chiarito  che  tale  potere
 valutativo delle camere "non e' arbitrario o soggetto soltanto ad una
 regola interna  di  self-restraint",  ma  deve  essere  correttamente
 esercitato.  Di  qui  la conseguenza che qualora il giudice civile in
 una causa di risarcimento danni, promossa  da  una  persona  lesa  da
 dichiarazioni  asseritamente  diffamatorie  fatta  da  un  deputato o
 senatore in sede extra parlamentare, reputi  che  la  delibera  della
 camera   di  appartenenza,  che  afferma  l'irresponsabilita'  di  un
 parlamentare convenuto in giudizio, sia il risultato di un  esercizio
 illegittimo  (o come altri si esprime di "cattivo uso") del potere di
 valutazione, puo' provocare il controllo della  Corte  costituzionale
 sollevando  davanti  a  questo  conflitto di attribuzione, al fine di
 contestare l'altrui potere come in concreto esercitato; cio' sia  per
 vizi   in  procedendo  che  per  omessa  o  erronea  valutazione  dei
 presupposti di volta in volta richiesti per il  valido  esercizio  di
 esso.
    2.  -  Questo  tribunale  in ottemperanza a quanto stabilito dalla
 stessa Corte costituzionale, nella consapevolezza  della  particolare
 rilevanza  dei  diritti in discussione, ritiene necessario sottoporre
 ad un sereno ma rigoroso esame la delibera in questione  al  fine  di
 accertare  se  i  principi  affermati  possano  ritenersi conformi al
 dettato costituzionale.
    In esito a tale disamina il collegio ha maturato il  convincimento
 che alcune delle affermazioni contenute nella delibera richiedano una
 verifica  da parte della Corte regolatrice in ordine al corretto uso,
 nel caso di specie, del potere in questione.
    Le perplessita' riguardano i seguenti profili:
       a) si afferma nella delibera che il sen. Ricci era  intervenuto
 al   convegno   di  Venezia  "in  qualita'  di  vicepresidente  della
 commissione parlamentare d'inchiesta sulla loggia massonica P2".
    Poiche' certamente la partecipazione ad un  convegno  non  rientra
 tra  i  compiti  istituzionali  del parlamentare, si rileva che detta
 partecipazione non puo' che essere avvenuta a  titolo  personale;  la
 qualita'  di Vice-Presidente della commissione di inchiesta, anche se
 annunciata nella presentazione del convegno, non puo'  quindi  essere
 stata,  dal  punto  di vista funzionale, la veste nella quale il sen.
 Ricci ha letto la sua relazione.
    Sul   problema  della  delimitazione  del  concetto  di  "funzione
 parlamentare" la dottrina prevalente, che questo collegio  condivide,
 ritiene  che la disposizione in questione, anche se non ha riprodotto
 il criterio  spaziale  previsto  nello  statuto  Albertino  -  "nelle
 Camere"  -,  ha  chiaramente  voluto  far  riferimento alle attivita'
 tipiche del parlamentare e non  ha  inteso  recepire  quella  nozione
 estensiva, sostenuta da parte minoritaria della dottrina, secondo cui
 in  tale  funzione  siano  da  ricomprendere  genericamante  tutte le
 attivita' latu senso politiche del deputato o senatore;
       b)  l'affermazione  secondo  cui  l'irresponsabilita'  dovrebbe
 essere  affermata  per  il fatto che vi sarebbe sostanziale identita'
 tra i fatti esposti dal sen. Ricci nel convegno e  "quelli  riportati
 negli  atti  e  documenti  della commissione d'inchiesta sulla loggia
 massonica P2 dai quali le  affermazioni  del  senatore  Ricci  furono
 desunte".
    A  prescindere  dalla  verifica  della fondatezza di tale assunto,
 cio' che lascia perplessi  e  la  conseguenza  che  dallo  stesso  si
 ritiene  di  dover  trarre;  affermare  infatti che dalla su riferita
 identita'  si  dovrebbe  desumere  che  le  opinioni  espresse  nella
 relazione  al  convegno  siano  da ricondurre nella prerogativa della
 insindacabilita' di cui all'art. 68, primo comma, della Costituzione,
 significa   dare   di   tale   disposizione    ancora    una    volta
 un'interpretazione   estensiva,   che   non   trova  riscontro  nella
 formulazione letterale dell'articolo in questione e che  non  risulta
 essere  mai stata sostenuta ne' in dottrina ne' in giurisprudenza. Si
 e' infatti discusso, in alcune decisioni dei giudici ordinari,  sulla
 possibilita'  di  far rientrare nell'insindacabilita' le affermazioni
 contenute in una intervista rilasciata ad un giornale ove  le  stesse
 riproducano  fedelmente  il  contenuto  ad  es.  un  interrogazione o
 interpellanza presentata dal parlamentare  (in  tale  senso  si  veda
 trib.  di  Roma  7 novembre 1986, n. 15326, in Foro it. 1988, I. 587:
 trib. di Milano 21 luglio  1983  in  Foro  pad.,  1905,265).  Ma  una
 corrispondenza  siffatta  e  all'evidenza cosa ben diversa dalla mera
 riscontrabilita'   tra   le    affermazioni    fatte    nella    sede
 extraparlamentare  ed  atti  e  documenti  parlamentari, ritenuta dal
 Senato come rilevante ai fini della insindacabilita'  nella  delibera
 in  esame;  e  cio'  sia perche' gli atti non provengono dallo stesso
 soggetto autore della relazione (si tratta infatti di relazioni elab-
 orate da un organo collegiale quale e' da considerare la  Commissione
 parlamentare  di  inchiesta)  e  sia  perche'  i documenti (rapporti,
 fascicoli, verbali etc.) sono stati semplicemente acquisiti agli atti
 della commissione e non quindi tecnicamente  da  definire  come  atti
 parlamentari; cio' che piu' conta e in ogni caso che ne' gli atti ne'
 i  documenti  contengono  personali  "opinioni  espresse" dall'autore
 della relazione - e delle quali quest'ultima possa definirsi come una
 mera riproduzione -;
       c) il Senato non si  e'  limitato  ad  effettuare  un'esame  di
 carattere funzionale, ma affermando la corrispondenza tra le opinioni
 espresse  nella  relazione  e  gli atti e documenti della commissione
 d'inchiesta, ha finito per esprimere il proprio  giudizio  sulla  non
 esistenza del carattere diffamatorio nelle affermazioni contenute nel
 libro  e  quindi in ultima analisi si e' pronunciato sul merito della
 domanda proposta davanti a questo tribunale.
    Detto giudizio coincide infatti con l'accertamento sulla esistenza
 del  requisito  della verita' quanto meno putativa delle affermazioni
 contenute  nella  relazione  del  convegno  che  il  tribunale  sara'
 comunque chiamato ad effettuare.
    In questa sede non interessa esaminare il merito delle conclusioni
 raggiunte  sul  punto  del  Senato;  il  quesito  che  invece  questo
 tribunale ritiene di dover sottopporre all'esame della  corte  e'  se
 attraverso  l'iter  argomentativo  sopra riferito il Senato non abbia
 finito per  esercitare  una  funzione  giurisdizionale  che  in  tale
 materia la Costituzione non sembra gli attribuisca.
    Tale  ultimo  profilo  rende  opportuno  tra  l'altro  disporre la
 sospensione del giudizio anche nei confronti degli  altri  convenuti;
 pur  non essendo agli stessi estensibile la garanzia in questione, e'
 evidente la rilevanza di una decisione della Corte che  riconosca  il
 potere   della  camera  di  appartenenza  di  uno  dei  convenuti  di
 pronunciarsi anche nel merito della domanda.
    La sospensione deve pertanto investire l'intero processo in attesa
 che la Corte, cui gli atti andranno trasmessi ai sensi  dell'art.  23
 della  legge  11  marzo  1953,  n. 87, dirima il conflitto scaturente
 dalle considerazioni di cui sopra.